Francesco, il papa emerito e la rinuncia “già firmata”: cosa c’è di vero nelle voci di dimissioni

Francesco, il papa emerito e la rinuncia “già firmata”: cosa c’è di vero nelle voci di dimissioni

Francesco, il papa emerito e la rinuncia “già firmata”: cosa c’è di vero nelle voci di dimissioni



Il decesso di Benedetto XVI apre una pagina nuova, e non priva di insidie, nel pontificato di Francesco, che il papa gesuita prevedibilmente governerà, come ha governato questi quasi dieci anni di coabitazione, nel segno dell’unità della Chiesa.

Joseph Ratzinger e Jorge Mario Bergoglio non potevano essere più diversi, ma l’elezione del secondo non sarebbe avvenuta senza l’inedita rinuncia del primo. Al teologo conservatore è succeduto il riformista latino-americano, al tutore dell’ortodossia cattolica, che con il suo passo indietro ha rivoluzionato la vita della Chiesa, è subentrato il pastore che vuole far evolvere gradualmente, e sinodalmente, il magistero. Era inevitabile che la compresenza di un Papa regnante e di un Papa emerito, a distanza di poche centinaia di metri, innescasse interrogativi e qualche tensione.

Come quando il segretario particolare di Benedetto XVI, monsignor Georg Gaenswein, parlò di un “ministero petrino condiviso”, concetto subito rettificato dal Vaticano; o quando, a poche settimane dalla pubblicazione dell’esortazione apostolica “Querida Amazonia” di Francesco uscì un libro a quattro mani di Benedetto XVI con il cardinale Robert Sarah, che sbarrava la strada a ogni ipotesi – semmai fosse stata nelle intenzioni del pontefice regnante – circa i “viri probati” per la regione amazzonica, i cosiddetti preti sposati. Un certo mondo conservatore ha guardato a Benedetto come baluardo contro la ventata di novità portata da Francesco, ben al di là delle sue intenzioni, e da lui si è sentito rassicurato.

“Lui li ha cacciati via”

Bergoglio in persona ha accennato a questo scenario nel 2016, sul volo di ritorno dall’Armenia: “Ho sentito – ma non so se è vero questo – sottolineo: ho sentito, forse saranno dicerie, ma concordano con il suo carattere, che alcuni sono andati lì a lamentarsi perché “questo nuovo Papa…”, e lui li ha cacciati via! Con il migliore stile bavarese: educato, ma li ha cacciati via”. Benedetto XVI al momento stesso della rinuncia aveva promesso piena obbedienza al suo successore, chiunque egli sarebbe stato.

Francesco da parte sua ha sempre tributato al predecessore ogni onore, invitandolo, fin dall’inizio del pontificato, a non sparire dalla scena pubblica, andandolo a trovare periodicamente, portando da lui i nuovi cardinali ad ogni Concistoro. “Lui per me è il Papa emerito, è il “nonno” saggio, è l’uomo che mi custodisce le spalle e la schiena con la sua preghiera”.

Francesco è stato bersaglio di critiche a tratti feroci da parte dei settori più tradizionalisti, ha incontrato resistenze e malumori, nel mondo curiale e tra i cattolici più legati ai suoi predecessori, ma ha fatto attenzione a evitare strappi e preservare l’unità della Chiesa. E’ consapevole che con la morte di Benedetto XVI da quegli ambienti potrebbero levarsi pressioni perché in futuro pensi a sua volta alla rinuncia: uno degli argomenti più ricorrenti, del resto, non era che un tale passo indietro sarebbe stato impensabile fintantoché c’era già un Papa emerito?

Diversi emeriti, o nessuno

Uno scenario che, però, non ha un fondamento oggettivo. Perché, innanzitutto, a parte un problema di deambulazione, Papa Francesco, 86 anni, è in buona salute, l’attività di governo procede spedita, l’agenda fitta. Prima della storica rinuncia di Benedetto, poi, non era stata neppure contemplata l’ipotesi di un Papa che rinuncia, il dopo è tutto da definire. E se Francesco sinora si è rifiutato di regolamentare lo statuto del Papa emerito, sempre nel 2016 si era espresso chiaramente al riguardo: “Io ho ringraziato pubblicamente – disse – Benedetto per aver aperto la porta ai Papi emeriti. 70 anni fa i vescovi emeriti non esistevano; oggi ce ne sono. Ma con questo allungamento della vita, si può reggere una Chiesa a una certa età, con acciacchi, o no? E lui, con coraggio – con coraggio! – e con preghiera, e anche con scienza, con teologia, ha deciso di aprire questa porta. E credo che questo sia buono per la Chiesa. Ma c’è un solo Papa. L’altro… o forse – come per i vescovi emeriti – non dico tanti, ma forse potranno essercene due o tre, saranno emeriti”.

Così come nulla a priori escludeva, o escluderà in futuro, che ci siano più di un Papa emerito, così non c’è alcuna correlazione tra la morte di Benedetto e l’eventuale rinuncia di Francesco. Tema indirettamente evocato nelle scorse settimane dal Papa argentino. Cosa succede, gli hanno domandato a metà dicembre i giornalisti del quotidiano spagnolo Abc, se un pontefice resta improvvisamente impedito da problemi di salute o da un incidente? Non sarebbe opportuna una norma per questi casi? “Io ho già firmato la mia rinuncia”, ha risposto Bergoglio, 86 anni.

Non si tratta di un’iniziativa recente, ma risale ai primi mesi del pontificato, “era quando Tarcisio Bertone era segretario di Stato”, ha spiegato: il salesiano andò in pensione lo stesso anno del Conclave, nel 2013, succeduto dall’attuale segretario di Stato, Pietro Parolin. “Ho firmato la rinuncia e gli ho detto: “In caso di impedimento medico o che so io, ecco la mia rinuncia. Ce l’hai”. Non so a chi l’abbia data Bertone”, ha proseguito Francesco: “Ora forse – ha aggiunto con una punta di ironia – qualcuno andrà a chiedere a Bertone: “Dammi quella lettera””.

La rinuncia solo per impedimento

Francesco, dunque, non esclude la rinuncia. Ma solo “in caso di impedimento medico” o simile. Già altri Papi avevano lasciato un simile documento: lo fece Pio XII quando temeva di essere rapito da Hitler, lo fece Paolo VI quando dovette affrontare problemi di salute. Giovanni Paolo II valutò la cosa ma si risolse a rimanere al governo fino all’ultimo respiro. Una scelta dal sapore mistico, che ha avuto però risvolti problematici: vittima di un attentato tre anni dopo l’elezione, nel 1981, e poi negli ultimi anni con il Parkinson che avanzava, Karol Wojtyla delegò molte decisioni ad una Curia romana pervasiva e non priva di opacità. 

Anni dopo, il Papa venuto “quasi dalla fine del mondo”, ha fatto pulizia e ridimensionato la burocrazia vaticana. Se c’è una certezza, è che non delegherà mai il “munus” petrino, assegnatogli dallo Spirito santo tramite i cardinali elettori, alla Curia romana, piuttosto si dimetterebbe. Ma – è un possibile sottotesto delle sue recenti dichiarazioni – non per un semplice problema di mobilità (“Si governa con la testa, non con le ginocchia”) o, ad esempio, perché non c’è più un Papa emerito.

Gli impegni in agenda non mancano: il prossimo viaggio in Repubblica democratica del Congo e in Sud Sudan, a inizio febbraio, il probabile viaggio, “tra un anno”, a Marsiglia, come ha detto nella stessa intervista a Abc, e l’intenzione, “tra due anni”, di nominare una donna a capo di un dicastero vaticano. C’è poi da portare a conclusione il grande sinodo globale, con l’assemblea finale già fissata per ottobre 2024. Onorando la memoria del suo predecessore, e saldamente in sella.



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[email protected] (Redazione Repubblica.it) , 2022-12-31 15:35:30 ,www.repubblica.it

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